PIETRO BORSIERI

La Biblioteca Italiana

Ancora molto giovane, gli venne affidato il compito di redigere il programma della «Biblioteca Italiana»: l’introduzione da lui redatta tuttavia venne sottoposta a un severo processo di revisione da parte delle autorità austriache e alla fine venne cestinata e sostituita dalla più moderata del Giordani. Nella premessa il Borsieri traccia un quadro della cultura italiana, sottolineandone le lacune e l'inutilità di istituzioni culturali come l'Accademia della Crusca. La denuncia di tali manchevolezze  allarmò il governatore Sarau che bloccò immediatamente tale scritto.


Rimase comunque, nella redazione con un gruppo di letterati che avrebbe fatto la storia della letteratura italiana: Berchet, Pellico e Ermes Visconti.

Nel 1816, intervenne a difesa della de Staël nelle furibonde polemiche seguite alla pubblicazione (sul numero del gennaio 1816) dell'articolo "Sulla maniera e utilità delle traduzioni", ove ella invitava gli italiani ad uscire dal loro orgoglioso isolamento e a rinnovare la cultura, studiando le opere poetiche fiorite recentemente fuori d’Italia. Il Borsieri, insieme al di Breme, davano inizio ad una strenua lotta in favore della nuova letteratura. A tal fine pubblicò, nello stesso anno, l'articolo programmatico Avventure letterarie di un giorno, che comparve quasi contemporaneamente all'articolo "Intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani" del Di Breme, e alla "Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo" del Berchet. La discussione aveva uno spesso sottofondo politico, in quanto il giornale, una volta divenuto "romantico", prese a sostenere i valori della stirpe, la religione dell’eroismo e della immolazione per la patria. La censura austriaca, dunque, intervenne, e impose un riallineamento al tradizionale neoclassicismo italiano.

Il Conciliatore

A questo punto il gruppo sostenitori della letteratura romantica si ritrovò ne "Il Conciliatore", bisettimanale, un giornale che, secondo il programma, avrebbe dovuto trattare di economia, di finanza, e quindi, per necessaria distensione dopo una lettura pesante, anche di letteratura. Il Borsieri si era incaricato della stesura del programma. I finanziamenti giungevano da due ricchissimi nobili di idee patriottiche: Porro Lambertenghi e Confalonieri.

Nell’ottobre 1818, pubblicò su "Il Conciliatore" un lungo saggio per promuovere presso il pubblico italiano "l’Histoire des républiques italiennes au moyen-âge" del Sismondi. Nel maggio del 1819 seguì con l' articolo in tre puntate "Analisi del pregiudizio secondo le idee del Sismondi" in cui dava conto di un fondamentale contributo del Sismondi apparso nella "Edimburg Encyclopaedia", nel quale lo storico ginevrino analizzava i pregiudizi religiosi radicati nei ceti culturalmente meno progrediti, allo scopo di individuare una complessiva strategia di educazione popolare.



Ovviamente gli esiti de "Il Conciliatore" furono opposti a quelli della "Biblioteca Italiana": sul piano letterale si schierò per il nuovo, contro il classicismo, per l’impegnato, con nuove aperture alle letterature straniere. Sul piano ideologico e politico con orientamento liberale. La rivista fu massacrata dalla censura austriaca, che la ostacolava anche con un attento disservizio postale, e la pubblicazione durò appena dal settembre 1818 all'ottobre 1819, quando venne chiusa d'autorità.



La repressione del 1821

Cadeva, così, l’illusione di poter riformare la cultura e la vita nazionale, nel quadro delle strutture del restaurato Impero Austriaco. In capo a due anni, molti esponenti de Il Conciliatore vennero imprigionati come carbonari per sedizione. Arrestato il 4 aprile 1822, Borsieri venne condannato a morte insieme al Federico Confalonieri ed altri. La pena venne commutata in 20 anni di carcere duro, allo Spilberg. Nel frattempo (1823-1824) usciva a stampa a Milano, da Ferrario, in quattro tomi, la traduzione de "l'Antiquario" di Walter Scott.


Rimase allo Silberg per 14 anni, fino al 1836, quando accettò di commutare i restanti 6 anni di pena in esilio negli Stati Uniti, ove fu deportato. Visse poveramente a New York, Princeton, Filadelfia, insegnando italiano.



La prima guerra di indipendenza

Rientrato in Europa nel 1838, nel 1840 gli fu finalmente permesso di rientrare in Italia, quando ormai le sue energie intellettuali erano esauste per i lunghi anni di sofferenza e lontananza dalla patria.


Rifiutò l'ultimo Manzoni, al quale rimproverava di aver tradito gli ideali romantici che li avevano accomunati in gioventù, e polemizzò aspramente con il Cantù. Venne a lungo ospitato a Villa Monastero di Varenna, nella casa posta a nord della chiesa, affittata ad una delle sue sorelle. Ebbe qualche parte nelle cinque giornate di Milano.

L'esilio

Morì a Belgirate nel 1852.